lunedì 26 dicembre 2016

Roast Dinner & Christmas Jumpers


Questa invece è Exeter, di cui trovate mille foto qui.

Poiché le calorie sono infide e bastarde, quest'anno, invece che con il giga-pranzo in madre patria, il Natale è iniziato con un cenone pre-natalizio. Il british cenone è stato voluto dalla mia famiglia acquisita in terra inglese. Infatti, fatta menzione di non aver mai scoppiato un cracker o mangiato un tipico roast dinner all'inglese, quest'anno i miei coinquilini in Beaumont Road hanno deciso che ingrassare era la retta via. E chi sono io per contravvenire alle tradizioni altrui?

Mentre la mia anima nazi-salutista con tendenze maniacali gridava allo scandalo e sperava che i maglioni fossero grandi abbastanza da coprire la ciccia, l'altro lato, quello goloso la zittiva malamente. E così alla mia lunga lisa di prime volte oltremanica ho potuto aggiungere quella del Roast dinner da "Love Actually". Non essendo mai stati una casa normale, però il cenone tradizionale è stato comunque anti-convezionale.  Essendo una casa strana, di coinquilini eccentrici e vegan-friendly, per accontentare tutti, il roast dinner è stato interamente vegano, ma non per questo meno buono, come dimostrano i jeans troppo stretti e il coma post-abbuffata. 

Infatti, di cibo ce n'era comunque abbastanza per sfamare un esercito, che noi studenti poveri ed affamati, non abbiamo fatto avanzare neanche per scherzo. Torte salate, sformati, tuberi arrostiti (ho assaggiato il parsnip, ancora non ho capito cosa sia) e il piatto principale: il Nut Roast, una specie di polpettone di castagne, anacardi, nocciole e quant'altro. Nessuno ha avuto da lamentarsi e alla fine, annaffiando tutto con il vino da 5£ di Tesco, abbiamo anche giocato a "Cards against Humanity" indossando maglioni di Natale le coroncine di carta come Bridget Jones. Un altro tick alla mia lista di cose da fare prima della fine di questo anno accademico. 

Noi per non avevamo Colin Firth, mannaggia. 

Naturalmente, essendo la cena di impronta tradizionale anglosassone, l'unico mio contributo è stato l'Instagram: tavola addobbata, mini albero di Natale e fairy lights a pioggia. Successone.
Tovaglioli di carta perché restiamo umili.

M.

domenica 27 novembre 2016

Concert of the Month: Tom Odell



Ho aspettato fino all'ultimo anno di Università per avere una solida vita sociale, ma finalmente, ce l'abbiamo fatta (più o meno). Iscritta in palestra, organizzatrice di serate al cinema e occasionalmente invitata agli house parties. Quasi mi emoziono al solo pensiero. Tra le varie attività che ho ripreso quest'anno e inserito nella mia vita c'è quella di andare ai concerti, per i quali di solito aspettavo l'estate, i grilli e i festival estivi. 

Questo Novembre però non ho resistito e ho comprato un biglietto per andare a vedere Tom Odell. Oserei dire grande intuizione, perché è stato un'ottima concerto con sorprese. Prima di tutto il concerto principale è stato anticipato da non una ma due supporting bands. entrambe ottime, entrambe sorprendenti. 

I primi o il primo, non si è capito, era sicuramente per i nostalgici dell'emo-punk-rock.  Il gruppo/cantante si chiamava Johnny Loyd e si può dire non spaziasse granché  rimanendo intorno al tema del tormento e della depressione, letteralmente . Va da se che non sia stata la mia band preferita, ma comunque bravi musicisti e non eccessivi nel tempo, che solitamente è il problema delle band di supporto.



Il secondo a portare un po' di magia è stato Rag and Bone Man. Ecco, al momento del concerto non l'avevo mai sentito, mai visto da nessuna parte e quando ho sentito le sue canzoni mi sono impersonata in un giudice di X factor quando scopre un talento incredibile. Avrei solo voluto un bottone e una sedia girevole come in The Voice e poter urlare: "Tu hai l'X factor!!!!!!". Invece no, ma sono stata comunque felicissima della scoperta. Inoltre, a partire dal giorno del concerto, questo talento sembra essere stato scoperto da mille radio e mille Paesi. Molto bene Mondo. 

E finalmente il concerto della serata. Talmente bello da farmi tornare indietro ai miei 14 anni e a quel genere di concerti che ti fanno commuovere e ridere e rimanere con la nostalgia di una bella serata per tutta la settimana successiva. Bella la lista di canzoni, belle le luci, bello il fatto che lui fosse molto ubriaco a un certo punto della serata. Il che ha reso tutto molto più inglese, molto più autentico. Tom Odell ci ha coinvolto, parlato di esperienze personali e tirato dentro al modo in cui avrebbe voluto che interpretassimo le sue canzoni/poesie. Tra un salto sul pianoforte e una battuta sul fatto che ci volesse molto bene, la serata è volata ed ha portato insieme tutte le fasce d'età: dagli universitari come me alle famiglie, alle coppie. Grazie Mr Odell, un biglietto ben speso e un'esperienza da non dimenticare.

M. 

sabato 19 novembre 2016

5 caffè

Plymouth Barbican

Plymouth è un po' come Narnia. Ci arrivi per caso, ti ritrovi in mezzo alle tormente, con i pescatori e l'inverno perenne e sei risucchiato dalla routine che è un attimo. Come per Narnia, però anche questo posto dimenticato da Dio ha delle oasi di pace e serenità, dove lasciarsi morire su divani hipster, sorseggiando un Chai Latte. E chi v'ammazza?



Ho deciso quindi, nonostante sia un posto che le persone visitano solo se fanno surf, di stilare una lista di questi giardini segreti, per condividere la gioia e il buon caffè o aperitivo.


  • The Stable è un amorevole pub/pizzeria/caffè/ che si affaccia sul Barbican, il porto della città. Con le candele sui tavoli e la vista sulle barchette dei pescatori, l'atmosfera è delle più ospitali e il concetto è carino e spaventoso al tempo stesso. The Stable offre l'idea del cibo italiano rivisitato, sfatando però (grazie a Dio) l'idea della pizza inglese col Ketchup. Non fraintendetemi, la bbq sauce and chicken breast pizza esiste nei regni di sua maestà la Eli, ma non qui. Con una vasta scelta per vegetariani e non, si possono mangiare pizze originali e salutari. No ketchup, no patatine sulla pizza. Oltre che per il cibo, The Stable offre serate con musica live, che sono sempre apprezzabilissime, e serate con lo sconto per gli Studenti. La carta di credito ringrazia.

  • The Prime Deluxe è uno dei miei due posti preferiti. Non per l'aria hipster che trasuda dalle librerie e i tavoli in legno, o almeno, non solo. Le caratteristiche che mi attirano in questo luogo sono 2. La prima, da buona cicciona nascosta, sono le torte. Dolci limitati ma selezionati, con un rapporto qualità-quantità-prezzo invidiabile. Affogati nella pioggia Inglese, le gigantesche fette di torta mettono buon umore, oltre che ciccia sui miei poveri fianchi. La seconda caratteristica sono senza ombra di dubbio le persone che lo frequentano. Il Prime è un pentolone di soggetti alternativi, tatuaggi e dreadlocks che sorseggiano tazze di tè col mignolo alzato. Adorabile e inquietante.

    The Prime Deluxe Café

    Fauna tipica del luogo <3

    • Sulla banchina del Barbican c'è anche il BTP: Boston Tea Party. Classico stampo britannico, con dolci e bevande perfetti per colazioni e merende. Dai pancakes alle torte, ogni dolce è perfetto per quelle giornate malinconiche, da sprofondare nelle poltrone di pelle. Specialità indiscussa: White Hot Chocolate, dolce, ma non troppo, calda, ma non troppo. Tipo uno scottino di felicità e inverno.



    • La zona universitaria, come spesso accade fa sfoggio di arroganza e posti abbastanza trash. Tra tutti però, un posto spicca per kitchosità e qualità. Il Beggars Banquet è un pub, che serve cibo dalla colazione alla cena, dai pancakes banana e cioccolato, ai veggie burgers con le sweet potato chips. Il tutto in un'atmosfera da trip d'acido. Muri di colori diversi, poster URSS accanto a graffiti di Madonnine e narghilè. Se si volesse dare una forma alla schizofrenia probabilmente sarebbe quella del Beggars.
    Non mentivo riguardo alla Madonna
    Beggars Banquet

    • The Rumpus Cosy è il secondo mio posto preferito. Metà caffè, metà galleria, specializzato di caffetteria e pranzi con cucina ricercata e un'atmosfera rassicurante ed accogliente. In assoluto il posto migliore dove passare un sabato pomeriggio mentre fuori la pioggia gelida bagna le finestre. Divertente e con uno staff veramente gentile, fino ad ora mi ha lasciato solo bei ricordi. É anche il posto di cui ho il maggiore numero di foto, per ovvie ragioni. Nota divertente: la pagina Facebook è gestita in modo tale che ad ogni commento segue una risposta forbita, dal linguaggio aulico e ironico. 10+ 
    Lucine, lucine a non finire.
    Breve diapositiva in cui la poltrona è venuta meglio di me.
    Rumpus cosy


    M.

    sabato 24 settembre 2016

    Discovery of the week: Master Art Students


    In questi giorni di rientro nella realtà più noiosa e quotidiana, sto godendo degli ultimi istanti di libertà per fare quelle cose che so mi mancheranno durante i periodi di studio affogati nella tesi e nelle deadlines mensili (o settimanali). Camminare nel sole, girare per i negozi più dislocati e nascosti e scoprire. Essenzialmente scoprire. Ieri è stata la volta degli studenti di arte.

    A Plymouth, infatti, non c'è solo la mia università ma anche l'indipendente Plymouth College of Art. Qui, si aggira sempre una fauna molto colorita e curiosa, tipica delle scuole d'arte (uno di quegli stereotipi un po' veri). Dalle fashionista più incallite ai punkettoni desiderosi di esprimersi, non nascondo di essere sempre stata un po' pregiudiziosa nei confronti delle mostre degli studenti d'arte e delle loro creazioni. Forse, anzi, quasi certamente, plagiata da quell'aura di superiorità di cui si contornano gli studenti delle accademie d'arte della mia città, con abiti improbabili e quell'aria da "ma che ne sai tu, oh comune mortale". 

    Nonostante questo però, sono sempre aperta a ricredermi, a darmi della scema e contraddirmi, così, con spirito critico ma aperto, ho accettato l'invito alla Master Students' Exhibition a cui partecipava una mia amica. E mai scelta è risultata migliore. L'esposizione comprendeva installazioni di più studenti (circa una decina) e nessuna creazione era accomunata alle altre. Nonostante questo però, le opere erano unite da un forte senso di personalità, con installazioni che esprimevano chiaramente gli intenti degli artisti e risultavano davvero come i frutti di un lavoro studiato. Niente era casuale. Dal design grafico, al concetto di cibo come opera d'arte e frutto di studio e conoscenza, dalle fotografie di una costumista eccellente all'elaborazione dei pensieri come melodia o pezzi di un puzzle. Posso dire fieramente di essere rimasta molto colpita e di aver apprezzato, per questo ho deciso di parlarne, per questo ho voluto condividere. 

    In caso di interesse maggiore il mio Instagram è sempre aperto e sul Sito del College potrete trovare i dettagli.


    Ashley Turner's graphic design la trovate qui


    Jennifer-Anne Crowter's details


    Simona Bonomo's food culture (ha un bellissimo blog anche lei)


    Carri Keill's dresses and pics


    Tim Gundry's drone adventures

    venerdì 23 settembre 2016

    C'era una volta Parigi - Part 2.

    La riscoperta è continuata per altri 4 giorni, per i quali, per il nostro bene fisico, i ritmi sono stati rallentati, e le camminate sostituite da viaggi in metro e in bus, con mio grande dispiacere. 

    DAY 3

    Con la finta promessa che ci fosse poco da camminare, il terzo giorno ho portato la mia metà, novizia in campo parigino, a Montmartre. Troppo affollato. Troppo piccolo. Colorato e affascinante, il quartiere ci ha accolti con i classici artisti di strada e stupiti per i tanti e bellissimi graffiti del circondario. I disegni colorati facevano da anteprima alla basilica del Sacre Coeur, l'occhio vigile sulla città. Con il sorriso sulle labbra siamo rimasti un po' in contemplazione, per poi ridiscendere verso il centro città. La via del ritorno ha attraversato il quartiere di Pigalle e di nuovo Les Halles. Non potevo non portare i miei saluti al Moulin Rouge.



    DAY 4

    Potrebbe anche essere definita cometa giornata della sfiga massima. Stanchi delle troppe camminate abbiamo programmato la giornata all' Ile de la Cité e dintorni, andando a visitare la Cattedrale, il quartiere di Les Marais e il quartiere degli immigrati e la Sorbonne dall'altro lato. Purtroppo la giornata è stata funestata dal furto del mio portafoglio, quindi, oltre che monumenti e café, abbiamo avuto opportunità di visitare anche un commissariato della gendarmerie. Che fortuna. 
    Fortunatamente, però tutta la sciagura è arrivata dopo la sosta al caffe di Shakespeare and Company: un caffè e una libreria fornita di titoli vecchi e nuovi in cui mi sono sentita una bambina a Natale.
























    DAY 5

    Il giorno successivo è stato il fatidico giorno del Louvre, una sfiancante passeggiata tra i lavori di Da Vinci, Delacroix e troppi altri artisti che mi hanno fatta quasi commuovere. Usciti da lì, rimbambiti dall'arte e la cultura siamo andati a rinvigorire il cervello a Montparnasse, in cui, consigliati siamo andati a mangiare una gallette (crêpe salata) nella Crêperie de Josselin, francamente il posto più buono di Parigi per le crêpes. Ebbri di cibo e sidro dolce abbiamo terminato il lunghissimo giro nei Jardin du Luxembourg. Qui, in una scena quasi da film ci siamo ritrovati tra bambini che facevano andare barchette nel lago e vecchietti mano nella mano. 











    DAY 6



    In giorno precedente alla partenza, per concludere in bellezza, le mie preghiere sono state accolte e sono stata portata nel mio vero luogo di appartenenza: Disneyland Paris. Poco c'è da dire, tra una coronino e una foto con Ariel il viaggio si è concluso nel migliore dei modi, con una vagonata di stanchezza e di bellissimi e rinnovati ricordi di una delle città più belle del Mondo. Perché dopotutto anche Anastasia diceva che Parigi avesse la chiave del cuor.






    C'era una volta Parigi - Part 1.


    Ho fatto passare decisamente troppo tempo dall'ultimo post, ma troppe cose sono successe e troppe cose bollono in pentola. Inoltre, i recenti infausti fatti di cronaca mi hanno spinta a stare lontana da questo blog, mia creatura, ma pur sempre punto di raccolta di frivolezze. Non ho ritenuto opportuno spargere brillantini su un Mondo che piangeva.

    Agosto è volato e, con la valigia in mano, ho passato il mese intero a rimbalzare da un angolo all'altro della cartina geografica. Il mare ha lasciato il posto alla Torre Eiffel, Montmartre alle Alpi. Ho così tanto materiale da poter aprire altri 3 blog e scrivere un libro. E mi avanzerebbe spazio per un album di figurine. Quest'anno, visto che la Francia era un posto estremamente tranquillo e sicuro secondo i media nazionali ed internazionali, che fai, non rischi tutto e vai a Parigi? È vero, non si può smettere di vivere, è vero, non possiamo farci spaventare. Vero è anche però che ogni viaggio in metro era accompagnato da un lieve senso di nausea e sospetto per me, di cui mi vergogno, di cui mi dispiaccio. Detto questo però, proprio perché l'ansia non vincesse, il 1° Agosto io e la mia dolce metà ci siamo armati di micro bagagli e siamo volati nella terra dei Croissant.

    Principale nota negativa: avendo comunque un grado di paura piuttosto elevato, abbiamo visitato per lo più le zone turistiche, riempite di omini in tuta mimetica e mitra che, purtroppo, ti mettono addosso un pochino più di sicurezza.

    Principale nota positiva: anche nelle zone turistiche si può scoprire qualche novità e Parigi, da qualunque angolazione la si guardi, è così affascinante che non serve sforzarsi granché.



    E così dopo un viaggio lampo Pisa-Paris Orly, siamo sbarcati in una grigia Parigi, non piovosa ma neanche troppo estiva. Abbiamo alloggiato all'hotel Villa Brunel, un tipico albergo parigino, tutto in verticale, con stanze piccole ma pulite, accoglienti e funzionali, i balconcini con i gerani rossi e la ringhiera in ferro battuto. Tutto ciò che serve per chi, come me in viaggio, marcia 20 km al giorno per non perdersi neanche una Brasserie all'angolo della strada (con profondo odio da parte del mio fidanzato).

    DAY 1


       



















    Il primo giorno si è aperto alla grande con una "passeggiata"  lungo gli Champs Elysée, sui quali tra una vetrina e un caffè abbiamo trovato il Grand Palais e il Petit Palais. Prima sorpresa, dato che non li avevo mai sentiti nominare. Nel Petit Palais - Musée des Beaux Arts de la Ville de Paris, ci siamo trovati immersi in un'esposizione gratuita di una serie enorme di quadri e sculture. Carino, interessante e inusuale rispetto ai più classici Orangérie, Musée du Louvre et Musée d'Orsay. Tra scalinate geometricamente perfette, quadri e architettura tipicamente francese la visita è stata un piacevole break dalla scarpinata fatta fino a quel momento. La giornata è continuata sotto una pioggia inspiegabilmente gelida fino al quartiere di Les Halles, tra un hamburger e la vista della facciata del Louvre, per concludersi con una visita alle Galerìes Lafayette, inutile un po' coma Harrods, ma sempre incantevole. 





     


















    DAY 2 
    Pene-Porta alert.
    Il secondo giorno non ci ha demoralizzato, nonostante il tempo fosse ancora piuttosto umidiccio e i polpacci gridassero dai crampi. Questo, però non è bastato a fermarci e da eroi, abbiamo deciso di andare a fare un saluto alla Tour Eiffel. La camminata è stata un tuffo nel Mondo, poiché la strada si diramava nel quartiere delle ambasciate. Arrivati al colosso di ferro le foto si sono sprecate e l'atmosfera ha contribuito ha farci dimenticare i troppi turisti asiatici troppo impegnati a saltarti sui piedi per fare le foto per accorgersi della tua presenza. 
    FUN FACT: una volta lasciata la Torre, ci siamo fermati per il pranzo in una tipica locanda, lontana di turisti. Una volta finito, abbiamo visto un bellissimo portone sotto il quale mi sono fatta fotografare come una blogger seria. Morale della favola: il portone era scolpito con la forma di un pene gigante e né io, né il mio fotografo ce ne siamo accorti. Quindi adesso posso andare very proud di una voto con una Pene-Porta!



    Dopo altri 8000 km, abbiamo fatto la pazzia, anzi, le pazzie. Con le gambe distrutte ci siamo diretti al Musèe de l'Orangérie prima e d'Orsay poi. La fatica è stata tale che la sera siamo caduti come veri eroi alle 10 di sera, dopo una puntata di "Stranger Things" (CHE, PER LA CRONACA, BATTE TUTTO).


    Inutile dire che con questi primi due giorni ho mandato in tilt il conta-passi, che non mi riconosceva più.